LEI


di Alfonso Santagata da Fëdor Dostoevskij
con Alfonso Santagata, Sergio Licatalosi 
luci Andrea Margarolo
costumi Loretta Mugnai
luci Alessandro Ruggiero
colonna sonora Tommaso Checcucci
produzione Compagnia Xe
con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Comune di San Casciano Val di Pesa


Dopo il suicidio della giovane moglie, l’usuraio è sconvolto. Non se l’aspettava, non credeva, non pensava…
Ora si aggira per le stanze vuote.
Cerca di fare chiarezza - nella sua testa - di mettere ordine tra i suoi pensieri. Parla da solo, si contraddice ripetutamente, si discolpa … si rivolge a uno spettatore invisibile, forse un giudice.
Un soliloquio delirante e sconnesso con balbettii e ripensamenti. I pensieri sono disordinati. Dolorosi. Sentiamo anche i gemiti. E la rabbia che esplode quando si scaglia contro la gente.
Ex capitano cacciato dal suo reggimento con l’accusa di viltà, è stato un uomo avaro e vendicativo. Presta soldi sul pegno, ma ora ha bisogno convulso di confidarsi, impaziente e soprattutto ingenuo. In lui c’è rozzezza di pensiero e di cuore, ma anche un profondo sentimento. Solo che i suoi sentimenti sono malati.
Non è un uomo giusto ma nemmeno un inveterato criminale. È un parente stretto di quell’uomo del sottosuolo, con cui ha in comune la rabbia di essere un individuo rifiutato dalla società. Ha l’istinto di un animale braccato.
Sragiona ad alta voce, cerca di ricostruire le cause della sua catastrofe in un monologo che si sgretola in un dialogo in cui ricostruisce relazioni con immaginari interlocutori, giudici o avvocati d’ufficio. Si trova anche a parlare con i fantasmi.
Chiuso nella sua gabbia di sistemi, piani, assiomi, pretendeva che lei lo amasse, credesse in lui e lo seguisse…
Spesso è stato definito un guastatore, uno che fa saltare tutto in aria, anche le griglie in cui cerchiamo di incasellare la realtà.
Ma con Dostoevskij saltano tutte le logiche.
«La rivedrò nell’altra vita».
Intanto continua a parlare da solo. E sempre di se stesso: si giustifica e accusa gli altri.
È anche la confessione di un uomo del sottosuolo: «Sono un uomo malato, sono un uomo maligno».
Della giovane moglie sappiamo poco, possiamo solo immaginare il dolore, le ferite dell’orgoglio, la vergogna dopo la ribellione, lontana dalla superbia del marito.
Alfonso Santagata 


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